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Intervista all’attore Olivier Belmondo

Aggiornamento: 15 ago 2020


Il Volo
Olivier Belmondo

Per Voce Spettacolo, ho voluto intervistare Olivier Belmondo, il nipote di Bébel. Egli è sia attore sia direttore di “L’entrée des artistes”, una delle scuole di teatro più prestigiose in Francia e il cui padrino è proprio lo zio, Jean-Paul Belmondo.   Vediamo nei dettagli chi è Olivier Belmondo e andiamo a conoscere il suo mondo.


Buongiorno Olivier. Voce Spettacolo ed io siamo molto felici di accoglierLa nel nostro blog. Ci può spiegare qual è stato il Suo percorso scolastico e professionale e indicarci alcuni momenti particolarmente emozionanti di questo percorso e, forse, un fallimento, una delusione?

Bene per quanto riguarda la mia istruzione, è molto semplice perché ho abbandonato gli studi al terzo anno (ultimo anno delle medie in Francia, primo anno di liceo in Italia) per orientarmi verso una scuola di teatro e diventare attore. Ho iniziato a recitare all’età di 17 anni pur, ovviamente, continuando a studiare. Quando lavoravo a teatro, spesso le rappresentazioni riscuotevano successo e, in quel periodo, ho avuto la fortuna di essere affiancato da artisti di grosso calibro come Robert Hossein, Pierre Arditi, Pierre Richard, Barbara Schulz, Pierre Mondy ecc. Ho anche partecipato ad alcuni filmati. Andando avanti la recitazione mi attirava sempre di più. Poi sono diventato l’assistente di Bernard Murat e Pierre Mondy. In un secondo tempo ho messo in scena i miei spettacoli. Successivamente ho insegnato e realizzato un sogno che avevo in mente da tempo: creare una scuola di teatro … Così è nata la mia scuola, “L’entrée des artistes”. Ho vissuto dei momenti appassionanti: ho visto e sentito il pubblico cantare “è solo un arrivederci” durante l’ultima performance di Cyrano de Bergerac con Jean-Paul; ho osservato Robert Hossein dirigere contemporaneamente una cinquantina di attori; sono stato dietro le quinte del teatro delle varietà mentre Jacques Villeret recitava in “Le dîner de cons” (“La cena dei cretini”) e mi sono reso conto di quanto fosse coinvolto e preso da questo ruolo; ho recitato in una “pièce” di Feydeau e ho visto Darry Cowl improvvisare. Ho ammirato il suo talento in questo tipo di recita. Ho anche avuto il piacere di ricevere degli attori come Jean Rochefort, Michel Galabru, Claudia Cardinale, Claude Brasseur a “L’entrée des artistes”. È stato gratificante per gli studenti perché hanno potuto sentirli parlare della loro carriera e del loro modo di lavorare. Sono state occasioni di confronto davvero meravigliose. Nei momenti di esaltazione, c’è anche stata la soddisfazione di incontrare alcuni grandi coach e di avere degli scambi con loro circa il loro metodo di lavoro. Ad esempio, con Ilia Volok, membro de “L’Actor’s Studio” di New York e professore presso il “Lee Strasberg Institute” di Los Angeles. Non avrei mai osato immaginare di poter lavorare con un professore de “L’Actor’s Studio”! Lei mi ha chiesto se ho avuto qualche delusione? Sì, quando ero molto giovane! Quando ho scoperto che, contrariamente a quello che pensavo durante l’adolescenza, tutte le persone appartenenti al mondo dello spettacolo non erano solo persone appassionate e generose. C’era gente formidabile, ma anche chi era molto meno formidabile”.


Il teatro ha sempre esercitato un’attrazione su di Lei. Cosa L’ha affascinato di più di quest’ambiente nel quale, si sa, niente è facile?

All’età di 5 anni circa ero attratto dal circo, volevo diventare clown. A 10 anni, volevo essere un mago e a 12 anni volevo diventare attore. Da quel momento sono sempre stato appassionato di teatro e poi di cinema. Il teatro mi affascina perché è un luogo dove la gente ride, piange e sogna mentre guarda gli attori che provano tante emozioni davanti a loro. Trovo sia bellissimo che tutte queste persone siano unite da svariate emozioni. Per me stare in un teatro è come per un prete che sta in una chiesa … Ciò che mi affascina, quindi, è il lavoro dell’attore che vuole riuscire a condividere le proprie emozioni in pubblico o davanti alla cinepresa.


Qual è il metodo della scuola “L’entrée des artistes”?

Il metodo della scuola è una combinazione di diverse tecniche di lavoro. Lavoriamo molto sulle emozioni e la verità nella recitazione. Cerchiamo anche di adattarci alla personalità di ogni studente.


Quanto è importante per Lei trasmettere la Sua arte?

Non ho l’impressione di trasmettere … questo verbo mi sembra molto pretenzioso. Ciò significherebbe che sappiamo qualcosa che ha un’unica verità, come la matematica, ma esistono così tanti percorsi. Ho l’impressione di dedicarmi a questo mestiere con gli altri, d’imparare con loro, di condividere con loro delle esperienze. Credo che lavorare sulle emozioni, sulla verità nella recitazione e cercare di capire come funzionano gli esseri umani sia, ogni giorno, una ricchezza per tutti. È forse questa la cosa più importante.


Quali criteri La guidano nella scelta degli spettacoli che porterà in scena?

Non è molto originale come risposta ma è, ovviamente, la qualità della rappresentazione che conta, poi le persone con le quali si farà il progetto.


Può descrivere una giornata tipo?

Non c’è una giornata tipo. Tuttavia, nelle grandi linee, una giornata inizia intorno alle 8:30 per terminare intorno alle 19:30, spesso anche il sabato mattina e, a volte, un po’ la domenica. La giornata inizia con la lettura della posta elettronica, poi io e la mia compagna ci dividiamo il lavoro amministrativo della giornata. Se necessario, cerchiamo delle scene per gli studenti, ci occupiamo dell’aggiornamento delle informazioni sui social network, della gestione del sito, riflettiamo sui nuovi esercizi, l’evoluzione della scuola, i conti, la preparazione dei corsi successivi, la gestione del planning degli insegnanti e, naturalmente, i corsi stessi!


Come intende la regia? Lascia molta libertà agli attori?

Ogni spettacolo è un momento diverso, è possibile modificare il metodo di lavoro. Quello che è certo è che mi piace partire da ciò che propongono gli attori.


Che cosa conta di più, il talento tecnico o quello naturale?

Il lavoro! È questo il talento, poter lavorare 12 ore al giorno! Il talento naturale è inutile senza lavoro.


L’uomo di teatro che Lei rappresenta va a vedere molti spettacoli?

Non posso fare a meno di citare Jean-Louis Barrault. Lui diceva che non andava spesso a teatro perché, se lo spettacolo non era buono, era impaziente di salire sul palco per cercare di sistemare le cose e, se lo spettacolo era buono, era dispiaciuto di non farne parte … E poi vivo a 60 km da Parigi, ho dei bambini … non posso andare nella capitale senza avere la certezza che lo spettacolo mi porterà qualcosa di buono. Ho voglia di commuovermi, ridere, sognare quando vado a teatro ed essere stupito dalla recitazione degli attori.


Qual è, secondo Lei, il modo migliore per preparare gli studenti ad uno spettacolo? Il Suo modo di lavorare è diverso dagli altri?

La prassi migliore è probabilmente adattarsi alla personalità di ciascuno. Credo che il nostro metodo di lavoro sia in realtà un po’ diverso dagli altri perché noi lavoriamo anche sulla persona stessa, perché l’attore è il proprio strumento. È pertanto necessario che lo strumento sia il più fluido possibile, privo di tutti i blocchi che egli può avere.


Non pensa che troppi studenti si diplomino e che troppe persone vogliano fare teatro?

Non ci sono troppe persone che vogliono diventare attori. Il punto è che non ci sono abbastanza spettatori! È come se Lei dicesse che ci sono troppe persone in cerca di lavoro! Questo è un problema che si riscontra in quasi tutte le professioni. Invece sarebbe bene dire alle persone che sognano di diventare attori che si tratta di un lavoro tutt’altro che facile, che non è una professione che si impara in sei mesi, che ci vogliono anni di lavoro intenso e che si diventa raramente ricchi con questa attività!!! È la ragione per la quale abbiamo deciso di dare il diploma agli studenti più meritevoli. I direttori di casting e i registi sono bombardati da richieste. Non possono ricevere le persone che non sono ancora completamente pronte.


Crede che la formazione di attori bilingue sia una buona idea e che si debba investire nella formazione e nell’apprendimento dell’arte, ad esempio attraverso stage all’estero?

Ciò accade ovviamente. Non ci si deve illudere, i francesi hanno un accento che li limita ai ruoli di Francesi … a meno che non abbiano vissuto per molti anni nei paesi anglosassoni.


Le piacerebbe fare rappresentazioni in Italia?

Ovvio, adoro l’Italia e gli attori italiani. Gli italiani recitano con il cuore, non con la testa. È fantastico.


Essere il nipote di Jean-Paul Belmondo Le è servito? Suo zio ha avuto un ruolo nella fondazione del teatro?

Non posso sapere quale sia stata l’influenza di Jean-Paul perché per saperlo avrei dovuto avere due vite! Una con la presenza di Jean-Paul e una senza! Ne ha avuta una, è certo! Credo che in ogni caso mi abbia insegnato ad essere aperto, a poter apprezzare sia un’opera popolare che intellettuale. Mi è servito essere il nipote? A volte sì, a volte no. Jean-Paul non ha avuto alcun ruolo nella creazione della scuola. Gli ho chiesto di esserne il padrino quando tutto era pronto.


Che definizione dà della Sua scuola “L’entrée des artistes”?

Una guida rinomata ha classificato “L’entrée des artistes” come una delle scuole migliori in Francia. Io, personalmente, non lo so, faccio il mio lavoro, sperando piaccia e funzioni per gli studenti.


Secondo Lei, quale futuro ha il teatro?

Il teatro è eterno, il suo futuro è quindi grande! Ci sono notevoli difficoltà finanziarie al momento, ma ne verrà fuori. Forse bisogna tornare ai temi più contemporanei, che parlano alla gente, che la emozionano, che la fa riflettere o sognare, o semplicemente ridere. Molière non parlava continuamente del passato. Faceva spesso riferimento al suo tempo!


Prossimamente vorrei recarmi a Parigi. Quali eventi mi proporrebbe come “chicche”?

Di non seguire necessariamente quello che si dice, ma ciò che il Suo cuore Le suggerisce. Lo spettacolo su Edmond Rostand gode di ottime recensioni, e anche “L’éveil du chameau” (“Il risveglio del cammello”). Non bisogna dimenticare di andare a vedere Robert Hirsch in scena, un grande attore!


FRANCAIS


Pouvez-vous nous raconter quel a été votre parcours scolaire et professionnel et nous indiquer quelques moments particulièrement exaltants de ce parcours et peut-être aussi un échec, une désillusion?

Et bien concernant mon parcours scolaire, c’est simple puisque j’ai arrêté l’école en troisième pour me diriger vers une école de théâtre et devenir comédien. J’ai commencé à travailler en tant qu’acteur à l’âge de 17 ans tout en continuant les cours de théâtre bien sûr. Puis j’ai travaillé au théâtre, souvent dans des pièces qui ont eu du succès, ce qui m’a permis de travailler au côté d’artistes renommés comme Robert Hossein, Pierre Arditi, Pierre Richard, Barbara Schultz, Pierre Mondy etc. J’ai également participé à quelques tournages. Puis la mise en scène m’a attiré de plus en plus. Je suis devenu assistant de Bernard Murat et Pierre Mondy. Après j’ai mis en scène mes propres spectacles. Ensuite j’ai souhaité donner des cours et réaliser un rêve qui trottait dans ma tête depuis un moment: créer une école de théâtre… C’est ainsi qu’est née « L’entrée des artistes ». J’ai connu quelques moments fascinants: voir les spectateurs chanter « ce n’est qu’un au revoir… » lors de la dernière représentation de Cyrano de Bergerac avec Jean-Paul ! Voir Robert Hossein diriger une cinquantaine de comédiens simultanément était aussi un moment impressionnant ! Voir, depuis les coulisses du théâtre des variétés, Jacques Villeret jouer dans « un dîner de cons » et réaliser à quel point il était investi, habité dans ce rôle, jouer dans un Feydeau et voir Darry Cowl improviser et admirer son génie dans ce domaine… Puis, avec “L’entrée des artistes”, avoir le plaisir de recevoir des acteurs comme Jean Rochefort, Michel Galabru, Claudia Cardinale, Claude Brasseur, venir échanger avec les élèves sur leur carrière, leur méthode de travail c’est vraiment des moments formidables. Dans les moments exaltants, il y a aussi le plaisir d’avoir rencontré des coachs formidables et d’avoir pu échanger avec eux sur leurs méthodes de travail… Par exemple avec Ilia Volok, membre de l’Actor’s Studio à New York et professeur au Lee Strasberg institute à Los Angeles. Je n’aurais jamais osé imaginer pouvoir collaborer avec un professeur de l’Actors Studio ! Vous me demandiez si j’avais eu une désillusion ? Oui lorsque j’étais tout jeune ! De constater que contrairement à ce que je pensais en étant ado, toutes les personnes du spectacle n’étaient pas que des personnes passionnées et généreuses. Il y avait des personnes formidables mais aussi « des gens beaucoup moins formidables »…


Le théâtre a toujours exercé un attrait sur vous. Qu’est-ce qui vous a captivé le plus de ce milieu où, on le sait, rien n’est facile?

A’ l’âge de 5 ans le cirque m’attirait, je voulais devenir clown. A 10 ans je voulais devenir magicien… Et à 12 ans je voulais devenir acteur. Depuis j’ai toujours été passionné par le théâtre, puis par le cinéma. Ce qui me fascine c’est le lieu : le théâtre, c’est un endroit où des gens ont ri, pleuré, rêvé en regardant des acteurs qui ont ressenti tellement d’émotions devant eux. Que toutes ces personnes aient été réunies par des émotions, je trouve ça beau. Je suis dans un théâtre comme un prêtre dans une église… Ce qui me passionne aussi, du coup, c’est le travail de l’acteur pour parvenir à partager ses émotions en public ou devant une caméra.


En quoi consiste la méthode de votre école «L’Entrée des Artistes »?

La méthode de l’école est une combinaison de plusieurs techniques de travail. Nous travaillons beaucoup sur les émotions et la vérité dans le jeu. Nous essayons aussi de nous adapter à la personnalité de chaque élève.


Quelle importance a pour vous la transmission de votre art?

Je n’ai pas l’impression de transmettre, cela me paraît très prétentieux comme terme, cela impliquerait que l’on sait quelque chose qui n’a qu’une vérité, comme des maths… Or il y a tellement de chemins différents. J’ai l’impression de travailler avec les autres, d’apprendre avec eux, de partager avec eux des expériences. Je crois que travailler sur les émotions, sur la vérité dans le jeu, essayer de comprendre le fonctionnement des êtres humains est une richesse au quotidien pour tout le monde. C’est peut être cela le plus important.

Quels critères vous guident dans le choix des pièces que vous montez?

Ce n’est pas très original comme réponse, mais c’est évidemment les qualités de la pièce, puis les personnes avec qui le projet va se faire.

Pouvez-vous nous décrire une journée type?

Il n’y a pas vraiment de journée type. Mais en gros une journée commence vers 8h30 pour se finir vers 19h, souvent le samedi matin aussi et parfois un peu le dimanche… La journée commence par la lecture des mails, puis avec ma compagne on se répartit le travail administratif de la journée. Ensuite, selon les besoins, il y a la recherche de scènes pour les élèves, la mise à jour des infos sur les élèves sur les réseaux sociaux, la gestion du site, la réflexion sur de nouveaux exercices, sur l’évolution de l’école, les comptes, la préparation des prochains cours, le gestion du planning des professeurs et bien sûr les cours en eux-mêmes !


Quel metteur en scène êtes-vous? Laissez-vous une grande liberté aux acteurs?

Chaque pièce est un moment différent, on peut changer la méthode de travail. Ce qui est sûr c’est que j’aime partir de ce que proposent les acteurs.


Qu’est-ce qui compte le plus, la technique ou le talent naturel?

Le travail ! C’est ça le talent, de pouvoir travailler 12 h par jour ! Le talent naturel ne sert à rien sans travail.


Est-ce que l’homme de théâtre que vous êtes va voir beaucoup de spectacles?

Je ne peux m’empêcher de citer Jean Louis Barrault qui disait ne pas aller au théâtre souvent car si le spectacle était mauvais, il trépignait d’envie de monter en scène pour essayer d’arranger les choses et si le spectacle était bon il était malheureux de ne pas en faire partie… Et puis j’habite à 60 km de Paris, j’ai des enfants… J’ai du mal à aller dans la capitale sans être sûr que le spectacle va m’apporter quelque chose. J’ai envie d’être ému, de rire, de rêver quand je vais au théâtre et d’être bluffé par le jeu des comédiens.


Quelle est, selon vous, la meilleure façon de préparer des élèves à un spectacle? Votre méthode de travail est-elle différente des autres?

La meilleure méthode est probablement de s’adapter à la personnalité de chacun. Je pense que notre méthode de travail est effectivement un peu différente des autres car nous allons aussi travailler sur la personne en elle même car l’acteur est son propre instrument. Il faut donc que l’instrument soit le plus fluide possible, débarrassé de tous les blocages qu’il peut avoir.


Ne pensez-vous pas qu’on diplôme trop de monde et que trop de personnes veuillent faire du théâtre?

Il n’ y a pas trop de personnes qui veulent devenir acteurs, il n’y a pas assez de spectateurs ! C’est comme si vous disiez qu’il y a trop de gens qui cherchent du travail ! C’est un problème que l’on rencontre dans à peu près toutes les branches professionnelles. Par contre il serait bon de dire aux gens qui rêvent de devenir acteurs que c’est tout sauf un métier facile, que ce n’est pas un métier qui s’apprend en six mois, que cela demande beaucoup d’années de travail intense et que l’on devient très rarement riches avec ce métier !!! Ceci étant à « L’entrée des artistes » j’ai choisi de ne diplômer que les meilleurs élèves et non systématiquement tous les élèves. Les directeurs de casting, les réalisateurs sont assaillis de demandes et ne peuvent recevoir des gens qui ne sont pas encore parfaitement au point.


Croyez-vous que la formation d’acteurs bilingues soit une bonne idée et qu’il faille investir dans la formation et dans l’apprentissage du métier, par exemple par des stages à l’étranger?

Cela se fait bien sûr. Après il ne faut pas se leurrer, les Français ont toujours un accent qui les limite aux rôles de Français… À moins d’avoir vécu plusieurs années dans les pays anglo-saxons.


Aimeriez-vous faire des représentations en Italie?

C’est évident, j’adore l’Italie et les acteurs Italiens ! Les Italiens jouent avec leur cœur, pas avec leur tête. C’est formidable.


Le fait d’être le neveu de Jean-Paul Belmondo vous a-t-il non seulement influencé mais aussi servi? Votre oncle a-t-il eu un rôle dans la fondation du théâtre ?

Je n’arrive pas à savoir quelle a été l’influence de Jean-Paul car pour le savoir il faudrait que j’aie eu deux vies ! Une avec la présence de Jean-Paul et une sans ! Il en a eu une c’est sûr ! Je crois qu’en tout cas il m’a appris à être ouvert, à pouvoir apprécier autant une œuvre populaire qu’intellectuelle. Est-ce que cela m’a servi d’être le neveu ? Parfois oui, et parfois cela m’a desservi. Jean-Paul n’a pas eu de rôle dans la création de l’école, je ne lui ai demandé d’en être le parrain qu’une fois tout en place.


Pouvez-vous définir la place de « L’Entrée des Artistes » dans le paysage théâtral français?

Un guide renommé a classé “L’entrée des artistes” comme l’une des meilleures écoles de France… Personnellement je ne sais pas, je fais mon travail en espérant que cela plaise et que cela fonctionne pour les étudiants.


D’après vous, quel avenir a le théâtre?

Le théâtre est éternel, son avenir est donc grand ! Il y a des difficultés financières importantes en ce moment mais il s’en sortira. Il faut peut-être revenir à des thèmes de spectacles plus contemporains, qui parlent aux gens, qui les touchent, les font réfléchir ou rêver ou juste rire bien sûr. Molière ne parlait pas continuellement du passé, il parlait beaucoup de son époque!


Si je décidais de venir à Paris, quels bons spectacles me conseilleriez-vous ?

De ne pas suivre forcément ce qu’il se dit mais ce que votre cœur vous conseille. Le spectacle sur Edmond Rostand bénéficie d’excellents retours, « L’éveil du chameau » également et il ne faut pas oublier d’aller voir Robert Hirsh en scène, ce grand acteur !

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